Tredici anni fa la famosa mortadella di Prato diveniva presidio Slow food nella città toscana del tessile. Questo prodotto locale vanta tradizioni passate che risalgono ai primi del Novecento, quando c’era l’esigenza in Toscana, dettata dalla necessità, di usare al meglio le carni scartate. Così che fuoriesce la preparazione dei salami e i tagli del maiale di seconda scelta.
A Prato e nel Pistoiese, nel comune di Agliana, queste carni venivano insaccate, insaporite con spezie e liquori e cotte in acqua, fino al dopoguerra, dopodiché questa produzione sparisce. È stata una salumeria di Prato, tren’anni dopo, a riprendere la produzione curando però la scelta delle carni senza insaporirle troppo.
La mortadella di Prato si presenta simile al salame dal colore rosa tendente all’opaco, dovuto all’aggiunta di alchermes nell’impasto. Divenendo presidio ha adottato il suo disciplinare di produzione che uniformi gli stili di lavorazione dei produttori ancora attivi. Nel disciplinare, si legge, che devono essere usati suini nazionali, preferibilmente biologici e l’uso dei conservanti deve essere molto limitato, non ci devono essere polifosfati per esempio. Le parti del maiale da utilizzare per la mortadella sono la spalla, la rifilatura di prosciutto, il capocollo, il guanciale, il lardone e la pancetta. L’insacco deve avvenire in budello naturale e nella concia si trovano ingredienti come l’aglio pestato, il macis, il pepe nero in grani e macinato, il sale, il coriandolo, la cannella, il garofano e l’alchermes.
La mortadella di Prato viene cotta in caldaie d’acciaio o tramite appositi forni a vapore.
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